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L’arte del capitalismo

Definire l’arte una semplice riproduzione sarebbe

riduttivo, poiché le manifestazioni artistiche, di ogni

genere, sono frutto dell’aggiunta di un altro elemento

indefinibile, è questo a suscitare nell’osservatore

meraviglia e nel migliore dei casi, commozione.

L’opera d’arte, per essere considerata tale, deve quindi

presentare degli elementi oggettivi, cosicché possa

emozionare e giungere all’unanimità, la vera arte,

dunque, è linguaggio universale e grammatica umana,

è strumento conoscitivo, permette di prendere

coscienza della realtà e scoprire il mondo, con gli occhi

di colui che ha tanta sensibilità da poterlo

rappresentare: l’artista.

Alcune tipologie artistiche, tuttavia, richiedono la

contemplazione dell’opera per un tempo prolungato e

continuato, non si può pensare di ascoltare la Nona

Sinfonia in un paio di minuti, né di leggere la Divina

Commedia in un’ora o di visitare la Galleria Degli Uffizi

in una giornata, in sintesi, l’esperienza del bello

richiede tempo, ed è qui che si presentano i primi

problemi per l’individuo medio del ventunesimo secolo.

L’individuo medio non ha mai abbastanza tempo e

pagherebbe per averne in più, la sua vita ha una natura

corriva, incessante, irrefrenabile, la sua mente è vuota,

l’unico pensiero fisso e martellante che ha è di essere

produttivo al massimo, sacrificando tutto per l’unica

cosa che conta: il Dio Denaro, non può vivere senza di

esso, è disposto a tutto per accumularne il più possibile e,

da bravo capitalista, sarebbe abile nel vendere

persino la sua anima se questo gli permettesse di

possedere tutto ciò che è acquistabile.

Ovviamente, essendo l’uomo strettamente legato

all’arte come sopracitato, questa subisce,

ingiustamente e involontariamente la stessa

degenerazione che coinvolge il piccolo e ingenuo uomo

contemporaneo. La contemplazione estetica diviene

impura, contaminata dal rapporto di possesso che

l’uomo sviluppa con gli oggetti che possiede e che lo

possiedono, la sua osservazione non è più

disinteressata.

Le multinazionali, il cui unico scopo è la massima

produzione per il massimo profitto vanno a nozze con

questa deformazione: ed ecco che in un baleno l’arte si

adegua alla realtà contemporanea diventando

immagine standardizzata, mera riproduzione,

immediatamente disponibile, spesso volgare, lo scopo è

che susciti una reazione immediata (l’opposto della

riflessione graduale che può essere suscitata dalla

contemplazione) poiché deve essere il più semplice

possibile cosicché sia fruibile (comprensibile e

comprabile) da tutti gli inetti che, dal loro punto di

vista, non possono permettersi di dedicare un solo

secondo in più a cose futili come la cultura.

L’ ”arte” del capitalismo e della rivoluzione industriale è

prodotta in serie con conseguente meccanizzazione del

processo produttivo, non è creata dalla fatica di

un’artista, non è più un pezzo unico e, ovviamente,

ha un bassissimo valore economico. Tutto questo perché

l’omuncolo non si accontenta più di apprezzare la

bellezza (che, come diceva Dostoevskij “salverà il

mondo” a patto che al mondo importi di essere salvato)

ma la vuole possedere, e in questo, viene

immediatamente assecondato e accontentato dalla

società del consumo, che non aspettava altro che

questo burattino privo d’ identità.

Inevitabile è, l’abbassamento del gusto di uomini e

donne che vedono la bellezza solo in ciò che è stato

costruito a tavolino per loro, una bellezza smaccata,

sfacciata, evidente e patinata, l’unica che sono in grado

di apprezzare, ormai perduta la sensibilità per le cose

sottili, tenui e meno appariscenti.

Nonostante ciò, non tutto è perduto, presto ci sarà una

presa di coscienza da parte dell’uomo medio che,

aggregandosi a quello più valido culturalmente,

ripudierà tutte queste cose meschine, e riprenderà ad

osservare la bellezza di un tramonto senza sentire

l’impellente necessità di possederlo con uno scatto

dell’iPhone, godendosi davvero l’arte che la natura e gli

artisti, quelli veri, offrono da sempre e per sempre,

dopotutto, il sole, non smette di sorgere per nessuno.


di Melissa Santin


 
 
 

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