PARERI DAL SOTTOSUOLO - Hitler il pacifista e la strumentalizzazione della Storia
- politicamenteit
- 6 mag 2022
- Tempo di lettura: 5 min

Ancora una volta torniamo ad esprimere il nostro parere su un tema che ha
coinvolto l’opinione pubblica questa settimana, la domanda che ci poniamo
oggi è di matrice storica e le sue conseguenze politiche odierne potrebbero
risultare (per così dire) particolari.
Ma Hitler voleva la seconda guerra mondiale?
Quando, il 30 settembre 1938, il Primo Ministro inglese Neville Chamberlain
scese la scaletta del suo aereo, di ritorno da Monaco di Baviera, sventolando
trionfalmente una copia del trattato che avrebbe garantito “La pace nel
nostro tempo”, il mondo sembrò tirare un sospiro di sollievo. La vittoria della
politica dell’appeasement, la pace a tutti i costi, sembrava definitiva e
l’ombra di un nuovo immenso conflitto diveniva più leggera nelle menti dei
reduci della Grande Guerra. La Conferenza di Monaco, tenutasi nei giorni
precedenti al cospetto dei leader delle grandi potenze occidentali, Daladier
per la Francia, Mussolini per l’Italia e Hitler per la Germania, aveva sancito un
nuovo equilibrio nel cuore dell’Europa. Le pretese, considerate legittime dalle
democrazie occidentali, della Germania Nazista erano state
momentaneamente soddisfatte con la cessione di una larga fascia di confine
dell’allora Cecoslovacchia al regime di Berlino.
Il territorio tedesco si allargava ulteriormente a danno delle più deboli nazioni
limitrofe dopo l’Anschluss del 1937 (la conquista dell’Austria, favorita da un
referendum falsato e dall’occupazione militare della regione) e avrebbe
continuato la sua espansione nel marzo del 1939, con l’annessione della
restante parte ormai smembrata della Cecoslovacchia (con la minaccia di
bombardamenti su Praga, abbandonata dalle potenze occidentali, le quali
vennero meno agli accordi firmati pochi mesi prima). Dopo anni di pressioni
politiche, proclami in pubblica piazza, parate e promesse infrante, Hitler si
apprestava a rivolgere ulteriormente ad est il suo sguardo, a quella nazione
che, in seguito ai nefasti accordi di Versailles al termine del primo conflitto
mondiale, aveva sottratto all'ex impero tedesco grandi porzioni del suo
territorio: la Polonia.
Ancora una volta la scommessa di Hitler fu il non intervento di Inghilterra e
Francia in sostegno all'aggredito, le quali tuttavia avevano improvvisamente
e inaspettatamente cambiato direzione politica, sottoscrivendo un trattato
difensivo con il governo di Varsavia. Nonostante ciò, dopo aver concluso un
accordo storico inimmaginabile con l'Unione Sovietica (che paradossalmente
fino ad allora era stata tenuta ben fuori dalle trattative politiche europee e
che Hitler scelse saggiamente di tenersi buona), la Whermacht invase la
Polonia il primo settembre del 1939. Questa volta le potenze occidentali
reagirono, una volta vistesi ignorare ogni tentativo di appeasement, e
dichiararono malvolentieri guerra alla Germania, dando vita al conflitto più
sanguinoso della storia umana.
Alla luce di queste precisazioni storiche, possiamo affermare che Hitler abbia
voluto la guerra mondiale? La risposta, per quanto suoni strana, è no. L'idea
odierna distorta per cui esista uno schieramento dei buoni, i pacifisti, e dei
cattivi, i bellicisti o interventisti è una plateale mistificazione della realtà.
Nessuna delle grandi guerre della storia è stata esplicitamente voluta da chi
l'ha cominciata, persino da coloro (come Hitler) che per anni avevano
teorizzato l’espansione dei propri domini. Questo è assolutamente chiaro se
si evidenzia la natura dei passaggi che hanno portato sia al primo che al
secondo conflitto mondiale; una serie di scommesse, di sfide, di
incomprensioni, di mancanza di comunicazione. Pare oltremodo ovvio che
Hitler, così come i generali tedeschi della Grande Guerra, preferissero
allargarsi a forza di colpi di stato, occupazioni militari incontrastate, ricatti
politici e intimidazioni, senza subire le conseguenze di una vera guerra. La
guerra infatti può risultare un’arma a doppio taglio terribile per un sistema
dittatoriale, in quanto la possibilità di una sconfitta metterebbe in luce la
debolezza e la fallibilità del potere assoluto centrale, il quale si regge sulla
forza dei suoi capi. Tuttavia sono paradossalmente proprio questi regimi che
con più intenzione ricercano queste scommesse, per attuare la propria
visione del mondo (per Hitler il Lebensraum, lo spazio vitale del popolo
tedesco) e per farlo sono pronti a destabilizzare l’ordine costituito. Quando
Chamberlain tornò a Londra non si era reso minimamente conto delle reali
intenzioni della Germania, non aveva compreso di avere per l’ennesima volta
regalato la vittoria di una sfida ad uno scommettitore seriale, il quale era
pronto a prendersi ora il braccio, la gamba e l’integrità dell’ennesima nazione
sovrana confinante. Dall’altra parte Hitler era oramai più che convinto (e con
questa serie di vittorie politiche aveva assoggettato anche i suoi sottoposti
più scettici) che l’Occidente non sarebbe mai sceso in guerra per salvare una
piccola nazione appena ricostituita come la Polonia. La mancanza di
comunicazione, di capacità nel leggere le intenzioni dell’avversario risultò
fatale. Le due parti furono accecate da un lato dal terrore di un nuovo
massacro e dall’altro dalla sete di rivalsa, a quel punto nessuno tentò di
fermare la Germania e questa non ebbe alcun incentivo a smettere di
innescare l’escalation.
Ad oggi tuttavia il dibattito pubblico sembra aver sovvertito la realtà storica
ed improvvisamente la colpa della Seconda Guerra Mondiale è diventata
l’alleanza difensiva che costrinse Inghilterra e Francia a combattere contro la
Germania dopo l’invasione della Polonia. Affermare una cosa simile è fuori
dal mondo per due ragioni. Innanzitutto i trattati (in particolare quelli difensivi)
sono l’esatto opposto della scommessa dell’aggressore, sono invece il
deterrente posto a guardia di qualunque politico che un giorno voglia tornare
a scommettere sulla guerra. In secundis nel processo di escalation esiste
chiaramente una parte che innesca la destabilizzazione dell’ordine costituito.
Generalmente a farlo sono quelle nazioni imperialiste, espansioniste, spesso
dittatoriali che non accettano l’equilibrio imposto al mondo e si lanciano in
opere di revisione. Hitler aveva ben chiari i suoi obiettivi e li perseguiva
nonostante le alleanze difensive e i trattati, affermare che sia di questi ultimi
la colpa della guerra è folle.
Le analogie storiche spesso risultano fuorvianti, per questo la
strumentalizzazione che in questi giorni sta subendo il periodo storico
trattato è aberrante e pericolosa. I paragoni con l’odierna situazione in
Ucraina andrebbero evitati, soprattutto da quei personaggi pubblici che
inneggiano alla complessità. Se volessi mistificare questi avvenimenti in
maniera più ragionevole infatti potrei affermare che la volontà di mettere
sedute ad un tavolo le potenze occidentali e la Russia, a discutere di come
sezionare e ripartire il territorio ucraino in assenza dei diretti interessati, sia al
pari della tragica conferenza del 38’. Potrei ricordare come i detrattori della
Cecoslovacchia parlassero di una nazione idealizzata, una creazione
artificiale e intellettuale impossibile da portare avanti dinnanzi alle ragionevoli
pressioni tedesche (suona familiare?). Potrei rimarcare con fermezza il fatto
che la politica della pace a tutti i costi abbia portato Hitler a scommettere in
modo sempre più convinto e compulsivo sulla sua vittoria finale, sulla
mancanza totale di conseguenze alle sue azioni, così come oggi
l’appeasement voluto dalle sedicenti frange pacifiste porterebbe Putin a
ritenere ragionevoli le sue infrazioni e i suoi crimini di guerra. Potrei infine
ricordare che il punto di svolta che convinse definitivamente Hitler ad
invadere la Polonia fu la mancanza totale di intesa tra Occidente e URSS, la
mancanza proprio di quel patto difensivo forte che gli avrebbe impedito di
spingersi a rischiare tanto.
Tuttavia la realtà è complessa. Putin non è Hitler, la Russia non ha liquidato
l’Ucraina come la Whermacht fece in un mese con la Polonia nella sua
Guerra Lampo, il contesto geopolitico è totalmente differente e ad oggi
esiste (per fortuna, per quanto alcuni autolesionisti desiderino il contrario)
un’alleanza difensiva solida in grado di tenere a bada il dittatore: la NATO e i
suoi partner.
Insomma, la guerra è perdita di controllo di una scommessa, fatta da precisi
aggressori dell’equilibrio geopolitico, che non va come sperato. È quando i
fattori vantaggiosi sfuggono di mano e divengono l’input per il conflitto
generale. Come negli anni 30, nemmeno oggi vi è alcuna volontà di far
piombare il mondo nel caos, dunque mettiamo da parte le fazioni
ideologiche, studiamo davvero la storia e rendiamoci conto che esistono
semplicemente strategie differenti per perseguire la pace; alcune sono più
efficaci, altre hanno dimostrato di esserlo meno.
Articolo di Gabriele Doria
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