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PARERI DAL SOTTOSUOLO - Hitler il pacifista e la strumentalizzazione della Storia


Ancora una volta torniamo ad esprimere il nostro parere su un tema che ha

coinvolto l’opinione pubblica questa settimana, la domanda che ci poniamo

oggi è di matrice storica e le sue conseguenze politiche odierne potrebbero

risultare (per così dire) particolari.

Ma Hitler voleva la seconda guerra mondiale?

Quando, il 30 settembre 1938, il Primo Ministro inglese Neville Chamberlain

scese la scaletta del suo aereo, di ritorno da Monaco di Baviera, sventolando

trionfalmente una copia del trattato che avrebbe garantito “La pace nel

nostro tempo”, il mondo sembrò tirare un sospiro di sollievo. La vittoria della

politica dell’appeasement, la pace a tutti i costi, sembrava definitiva e

l’ombra di un nuovo immenso conflitto diveniva più leggera nelle menti dei

reduci della Grande Guerra. La Conferenza di Monaco, tenutasi nei giorni

precedenti al cospetto dei leader delle grandi potenze occidentali, Daladier

per la Francia, Mussolini per l’Italia e Hitler per la Germania, aveva sancito un

nuovo equilibrio nel cuore dell’Europa. Le pretese, considerate legittime dalle

democrazie occidentali, della Germania Nazista erano state

momentaneamente soddisfatte con la cessione di una larga fascia di confine

dell’allora Cecoslovacchia al regime di Berlino.

Il territorio tedesco si allargava ulteriormente a danno delle più deboli nazioni

limitrofe dopo l’Anschluss del 1937 (la conquista dell’Austria, favorita da un

referendum falsato e dall’occupazione militare della regione) e avrebbe

continuato la sua espansione nel marzo del 1939, con l’annessione della

restante parte ormai smembrata della Cecoslovacchia (con la minaccia di

bombardamenti su Praga, abbandonata dalle potenze occidentali, le quali

vennero meno agli accordi firmati pochi mesi prima). Dopo anni di pressioni

politiche, proclami in pubblica piazza, parate e promesse infrante, Hitler si

apprestava a rivolgere ulteriormente ad est il suo sguardo, a quella nazione

che, in seguito ai nefasti accordi di Versailles al termine del primo conflitto

mondiale, aveva sottratto all'ex impero tedesco grandi porzioni del suo

territorio: la Polonia.

Ancora una volta la scommessa di Hitler fu il non intervento di Inghilterra e

Francia in sostegno all'aggredito, le quali tuttavia avevano improvvisamente

e inaspettatamente cambiato direzione politica, sottoscrivendo un trattato

difensivo con il governo di Varsavia. Nonostante ciò, dopo aver concluso un

accordo storico inimmaginabile con l'Unione Sovietica (che paradossalmente

fino ad allora era stata tenuta ben fuori dalle trattative politiche europee e

che Hitler scelse saggiamente di tenersi buona), la Whermacht invase la

Polonia il primo settembre del 1939. Questa volta le potenze occidentali

reagirono, una volta vistesi ignorare ogni tentativo di appeasement, e

dichiararono malvolentieri guerra alla Germania, dando vita al conflitto più

sanguinoso della storia umana.

Alla luce di queste precisazioni storiche, possiamo affermare che Hitler abbia

voluto la guerra mondiale? La risposta, per quanto suoni strana, è no. L'idea

odierna distorta per cui esista uno schieramento dei buoni, i pacifisti, e dei

cattivi, i bellicisti o interventisti è una plateale mistificazione della realtà.

Nessuna delle grandi guerre della storia è stata esplicitamente voluta da chi

l'ha cominciata, persino da coloro (come Hitler) che per anni avevano

teorizzato l’espansione dei propri domini. Questo è assolutamente chiaro se

si evidenzia la natura dei passaggi che hanno portato sia al primo che al

secondo conflitto mondiale; una serie di scommesse, di sfide, di

incomprensioni, di mancanza di comunicazione. Pare oltremodo ovvio che

Hitler, così come i generali tedeschi della Grande Guerra, preferissero

allargarsi a forza di colpi di stato, occupazioni militari incontrastate, ricatti

politici e intimidazioni, senza subire le conseguenze di una vera guerra. La

guerra infatti può risultare un’arma a doppio taglio terribile per un sistema

dittatoriale, in quanto la possibilità di una sconfitta metterebbe in luce la

debolezza e la fallibilità del potere assoluto centrale, il quale si regge sulla

forza dei suoi capi. Tuttavia sono paradossalmente proprio questi regimi che

con più intenzione ricercano queste scommesse, per attuare la propria

visione del mondo (per Hitler il Lebensraum, lo spazio vitale del popolo

tedesco) e per farlo sono pronti a destabilizzare l’ordine costituito. Quando

Chamberlain tornò a Londra non si era reso minimamente conto delle reali

intenzioni della Germania, non aveva compreso di avere per l’ennesima volta

regalato la vittoria di una sfida ad uno scommettitore seriale, il quale era

pronto a prendersi ora il braccio, la gamba e l’integrità dell’ennesima nazione

sovrana confinante. Dall’altra parte Hitler era oramai più che convinto (e con

questa serie di vittorie politiche aveva assoggettato anche i suoi sottoposti

più scettici) che l’Occidente non sarebbe mai sceso in guerra per salvare una

piccola nazione appena ricostituita come la Polonia. La mancanza di

comunicazione, di capacità nel leggere le intenzioni dell’avversario risultò

fatale. Le due parti furono accecate da un lato dal terrore di un nuovo

massacro e dall’altro dalla sete di rivalsa, a quel punto nessuno tentò di

fermare la Germania e questa non ebbe alcun incentivo a smettere di

innescare l’escalation.

Ad oggi tuttavia il dibattito pubblico sembra aver sovvertito la realtà storica

ed improvvisamente la colpa della Seconda Guerra Mondiale è diventata

l’alleanza difensiva che costrinse Inghilterra e Francia a combattere contro la

Germania dopo l’invasione della Polonia. Affermare una cosa simile è fuori

dal mondo per due ragioni. Innanzitutto i trattati (in particolare quelli difensivi)

sono l’esatto opposto della scommessa dell’aggressore, sono invece il

deterrente posto a guardia di qualunque politico che un giorno voglia tornare

a scommettere sulla guerra. In secundis nel processo di escalation esiste

chiaramente una parte che innesca la destabilizzazione dell’ordine costituito.

Generalmente a farlo sono quelle nazioni imperialiste, espansioniste, spesso

dittatoriali che non accettano l’equilibrio imposto al mondo e si lanciano in

opere di revisione. Hitler aveva ben chiari i suoi obiettivi e li perseguiva

nonostante le alleanze difensive e i trattati, affermare che sia di questi ultimi

la colpa della guerra è folle.

Le analogie storiche spesso risultano fuorvianti, per questo la

strumentalizzazione che in questi giorni sta subendo il periodo storico

trattato è aberrante e pericolosa. I paragoni con l’odierna situazione in

Ucraina andrebbero evitati, soprattutto da quei personaggi pubblici che

inneggiano alla complessità. Se volessi mistificare questi avvenimenti in

maniera più ragionevole infatti potrei affermare che la volontà di mettere

sedute ad un tavolo le potenze occidentali e la Russia, a discutere di come

sezionare e ripartire il territorio ucraino in assenza dei diretti interessati, sia al

pari della tragica conferenza del 38’. Potrei ricordare come i detrattori della

Cecoslovacchia parlassero di una nazione idealizzata, una creazione

artificiale e intellettuale impossibile da portare avanti dinnanzi alle ragionevoli

pressioni tedesche (suona familiare?). Potrei rimarcare con fermezza il fatto

che la politica della pace a tutti i costi abbia portato Hitler a scommettere in

modo sempre più convinto e compulsivo sulla sua vittoria finale, sulla

mancanza totale di conseguenze alle sue azioni, così come oggi

l’appeasement voluto dalle sedicenti frange pacifiste porterebbe Putin a

ritenere ragionevoli le sue infrazioni e i suoi crimini di guerra. Potrei infine

ricordare che il punto di svolta che convinse definitivamente Hitler ad

invadere la Polonia fu la mancanza totale di intesa tra Occidente e URSS, la

mancanza proprio di quel patto difensivo forte che gli avrebbe impedito di

spingersi a rischiare tanto.

Tuttavia la realtà è complessa. Putin non è Hitler, la Russia non ha liquidato

l’Ucraina come la Whermacht fece in un mese con la Polonia nella sua

Guerra Lampo, il contesto geopolitico è totalmente differente e ad oggi

esiste (per fortuna, per quanto alcuni autolesionisti desiderino il contrario)

un’alleanza difensiva solida in grado di tenere a bada il dittatore: la NATO e i

suoi partner.

Insomma, la guerra è perdita di controllo di una scommessa, fatta da precisi

aggressori dell’equilibrio geopolitico, che non va come sperato. È quando i

fattori vantaggiosi sfuggono di mano e divengono l’input per il conflitto

generale. Come negli anni 30, nemmeno oggi vi è alcuna volontà di far

piombare il mondo nel caos, dunque mettiamo da parte le fazioni

ideologiche, studiamo davvero la storia e rendiamoci conto che esistono

semplicemente strategie differenti per perseguire la pace; alcune sono più

efficaci, altre hanno dimostrato di esserlo meno.

Articolo di Gabriele Doria

 
 
 

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