PARERI DAL SOTTOSUOLO - IL SOTTOSUOLO E LA SCOMPARSA DELLA COMPLESSITÀ
- politicamenteit
- 1 apr 2022
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“Sono un uomo malato…sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole”.
È passato come uno scandalo e per fortuna, finalmente, ha suscitato la giusta indignazione la decisione (subito ritirata) dell’Università di Milano Bicocca di “rinviare” il corso sull’autore russo Fëdor Dostoevskij, causa “l’evitare polemiche in un periodo di tensioni”.
Che il primo pensiero davanti alle ingiustizie e agli orrori sia la cancellazione è purtroppo un fatto conclamato ai nostri tempi. Terribile che questa volta la reazione venga fuori da un ambiente che di profondità e cultura dovrebbe mangiarci e dormirci. Attraverso le parole del suo protagonista in “Memorie dal sottosuolo”, Dostoevskij pare direttamente rispondere alla censura, tanto che sembrerebbe superfluo e villano da parte nostra aggiungere altro.
«L’uomo ha tanta passione per il sistema e la deduzione astratta, che è disposto ad alterare deliberatamente la verità, è disposto a non vedere e non sentire, pur di giustificare la propria logica.»
Così l’istinto scellerato spinge molti occidentali in questi giorni a manipolare la realtà, coagulando in un’unica visione maledetta e pericolosa la cultura, la tradizione e la comunità russa. Vari intellettuali semplificano i fatti al punto da ribaltare i dati oggettivi, sostituendoli con traballanti opinioni personali.
Ecco che la distruzione delle differenze e della complessità a discapito di comodi dualismi risolve quel concetto che l’autore di Mosca ricrea nelle parole e nei gesti del suo protagonista; un uomo sgradevole ma sensibile, scorbutico ma cortese, menefreghista ma comprensivo, dannatamente complesso, sì, come ogni essere umano è.
Il titolo della nostra rubrica, per provocatorio che sia, è infatti un richiamo alla complessità così come Dostoevskij ce la insegna attraverso la sua opera.
Ma che cos’è il sottosuolo e perché risulta essere un concetto fondamentale in questi giorni terribili?
Innanzitutto l’idea per cui gli individui combacino con la visione finalistica, semplice e distorta che abbiamo della realtà.
La convinzione comune per cui ognuno di noi debba diventare qualcosa nella vita è legata al nostro bisogno di cercare un senso alla nostra esistenza. Il protagonista delle Memorie si arrovella a lungo sul fatto di aver tentato ogni strada possibile. Prima uomo retto, nobile, poi malvagio e crudele, fannullone e addirittura insetto. Nemmeno un insetto tuttavia è riuscito ad essere, dal momento che, per quanto ci provasse, ognuna di queste personalità ben confezionate contraddiceva una parte del suo carattere, del suo animo.
La frustrazione nel tentare di emergere, di farsi vedere, di apparire come un personaggio ben delineato agli occhi della società pur di potersi considerare soddisfatto è crescente. Ostentando fierezza nella sua indipendenza in realtà ricerca spasmodicamente l’assenso altrui.
Nel libro, pur di dimostrare la complessità dell’uomo, il protagonista arriva persino ad affermare che non esista alcuna ragione per cui l’individuo non debba desiderare il male, la sofferenza, la sua degradazione come piacere invece della stessa felicità. Un paradosso apparentemente irrealizzabile ma che trova giustificazione nella quotidianità. L’uomo dunque si trasforma in una «creatura bipede ed ingrata», spesso incapace di cogliere ciò che di buono e di cattivo ha e convinta che la rettitudine sia un concetto universale. Chi ha invece proclamato che l’individuo commette “porcherie” soltanto perché ignaro dei suoi veri interessi? Per il protagonista nulla di più falso.
L’uomo, che il personaggio di Dostoevskij chiama “d’azione”, è cattivo in quanto in egli invece trionfa questa ragione, con le sue rigide leggi. Disprezza l’irrazionale e vede come appiglio nelle fredde regole della natura l’unica consolazione, nell’illuminazione delle grandi menti la retta via da seguire ciecamente. Non si accorge di rinnovare ogni giorno quella falsa maschera che indossa al punto da ritenerla inevitabile e da ritenerne assolute le conseguenze. Gli altri dunque sarebbero ciò che il volere comune ci racconta, noi stessi lo siamo. Così il russo è il male e io il bene a prescindere dal vero. Il muro della generalizzazione consola l’uomo d’azione. Ma come possiamo pensare di generalizzare se persino dentro ognuno di noi si annidano mille volti diversi? Come scrive l’autore: «Questa gente, per la propria limitatezza, prende le cause più prossime per cause prime, e in tal modo si convince molto prima molto più facilmente degli altri di aver trovato un fondamento indiscutibile al proprio agire. […] Il mio pensiero (invece) è continuamente in moto e perciò ogni causa prima ne trascina immediatamente un’altra più originaria.»
Il sottosuolo al contrario è negazione, è distruzione delle abitudini sociali cristallizzate, è rifiuto delle fissità convenzionali, è maledizione della solitudine. Il sottosuolo ci ricorda sempre che per quanto possiamo sudare nel costruirci una vita ad arte, il caos e l’istinto primitivo che ci avvolgono non permetteranno mai alle maschere che indossiamo di penetrare la nostra pelle, la nostra anima.
L’uomo, quella creatura ingrata che preferisce distruggere e nascondere ciò che lo spaventa pur di non soffrire, non si accorge così facendo di stare cancellando se stesso. L’individuo autentico è quello interiore, che ha il coraggio di rintanarsi nella propria sudicia tana di dubbi e paure, nel suo passato orribile.
Il sottosuolo è angoscia, la sana e piacevole angoscia della ricerca, dell’incertezza e della complessità. È l’affondare con masochistico piacere nelle proprie contraddizioni e in quelle del mondo, a volte fino ad odiarlo. Al punto da odiare se stessi e la propria insondabile propensione ad indagarsi.
«Ho solo portato alle estreme conseguenze ciò che voi non avete osato condurre neppure a metà, prendendo oltretutto per buon senso la vostra viltà e consolandovi così, ingannando voi stessi. Cosicché io risulto perfino più vivo di voi. […] Lasciateci soli, senza libri e noi c’imbrogliamo e ci perdiamo subito, senza sapere a che cosa attaccarci per reggerci a galla, cosa amare o cosa odiare, cosa disprezzare o cosa rispettare. Ci è penoso perfino essere uomini, uomini con un corpo vero e proprio, col sangue nelle vene; ci vergogniamo di questo, lo consideriamo un’onta e ci sforziamo in ogni modo d’incarnare un certo tipo di uomo universale che non è mai esistito. Noi siamo nati morti, già da un pezzo non siamo più generati da padri viventi e la cosa ci piace sempre di più. Cominciamo a prenderci gusto. Ben presto inventeremo il modo di nascere da qualche idea».
Viva il sottosuolo.
Articolo di Gabriele Doria
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